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mercoledì , 9 Ottobre 2024

Assange: la libertà di stampa in catene e a rischio estradizione

di Italiani per Assange

Svegliato alle 5 del mattino, ammanettato e denudato per essere perquisito prima di essere condotto nell’aula del tribunale dove è costretto ad assistere al processo che lo riguarda da dietro una spessa lastra di vetro che attutisce ogni suono e rende difficoltosa anche la più semplice delle comunicazioni con i suoi legali. Detenuto in custodia preventiva ormai da più di 2 anni in un carcere di massima sicurezza all’interno di una cella singola per 23 ore al giorno, in un’ala della prigione dove si contano diversi casi di Covid; la posta (inclusa quella contenente documenti legali) trattenuta anche per settimane dall’amministrazione carceraria, i contatti con gli avvocati limitati a 2 brevi telefonate al mese. Al computer che finalmente,
dopo ripetuti appelli, gli è stato messo a disposizione sono stati incollati i tasti, di modo che non possa né evidenziare i passaggi salienti degli atti processuali, né scrivere note. La stampa e gli organi di informazione distolgono, più o meno imbarazzati, lo sguardo da una notizia che è troppo grossa e troppo sporca e che, se fosse data per quello che è, metterebbe a nudo il volto ripugnante di un sistema politico che si compiace di definirsi come “una forza al servizio del bene nel mondo”.
A leggerli così, sembrano passaggi di un romanzo distopico o la cronaca di un processo farsa contro un dissidente politico in Iran. O in Cina. O in Corea del Nord. Invece è quello che sta accadendo qui in Occidente, e più precisamente a Londra: la culla della democrazia moderna e delle garanzie legali –a cominciare dal medievale habeas corpus– che, in tempi lontani, posero un freno all’arbitrio del potere posando il primo mattone del processo equo e dello stato di diritto. Sul banco degli imputati c’è, in effetti, quello che il Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla Tortura, Prof. Nils Melzer, in un suo editoriale pubblicato il 4 luglio 2019, ha definito un
dissidente. Una persona che, nel suo disprezzo radicale per la segretezza, ha iniziato un cambio di paradigma nella consapevolezza pubblica, inondando il mondo di rivelazioni compromettenti su crimini di guerra, abusi, corruzione e violazioni dei diritti umani e della privacy senza mai ricorrere alla violenza o a notizie false.
Stiamo parlando di Julian Assange, un giornalista membro della stampa australiana e internazionale che, grazie alle soffiate di Chelsea Manning, ha svelato, tra le altre cose, dei crimini di guerra vergognosi perpetrati dalle truppe americane di stanza in Iraq e in Afghanistan (Assange è iscritto alla International Federation of Journalists e alla Media Entertainment and Arts Alliance.)
Stiamo parlando di un presidente americano, Joe Biden, che, pur dichiarando di voler interporre la massima distanza possibile rispetto alla linea del suo predecessore, ha scelto di continuare la scellerata politica di Trump di usare l’Espionage Act, per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, contro un giornalista. E’ importante notare che tale legge fu varata nel 1917, quando l’isteria intra-bellica del primo conflitto mondiale spinse i legislatori a cancellare ogni differenza tra la spia che passava segreti di stato ad una potenza nemica e il giornalista che rivela questi stessi segreti al pubblico, in nome della sicurezza nazionale che, per citare ancora una volta il Professor Melzer, tende sempre più a diventare lo strumento dell’impunità dei governi. Stiamo parlando di un atto d’accusa che vorrebbe far estradare, processare e rinchiudere Julian Assange per 175 anni in un carcere di massima sicurezza negli Stati Uniti per avere “sollecitato la sua fonte a rivelare ed essere entrato in possesso di documenti riservati” (e
cosa dovrebbe fare un giornalista d’inchiesta? Accontentarsi delle veline di governo, dei comunicati stampa?!).
Stiamo parlando della decisione dell’amministrazione Biden di appellarsi alla sentenza del 4 gennaio scorso nella quale la giudice britannica Baraitser ha rifiutato l’estradizione per ragioni sanitarie. Una sentenza che, pur impedendo la deportazione di Assange negli Stati Uniti, ha di fatto misconosciuto le ragioni per cui la richiesta statunitense andava rigettata: la violazione non solo della libertà di informazione, sancita nell’art. 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e ribadita nell’articolo 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, ma anche dello stato di diritto, dei fondamenti del diritto internazionale e delle stesse istituzioni democratiche.
Stiamo parlando di un processo che rischia di cancellare completamente il giornalismo d’inchiesta, l’informazione non allineata fatta a servizio del pubblico in ossequio al diritto di noi tutti di sapere e che rischia quindi di instaurare una nuova censura, di tappare la bocca ai giornalisti troppo audaci, oltre che alle loro fonti, riducendo la “libertà di informazione” ad
una mera espressione lessicale, priva di qualunque significato reale.
Come ricordato da Mairead Maguire nella lettera rivolta all’Accademia delle Scienze di Oslo per proporre i nomi di Assange, Snowden e Manning come destinatari del conferimento del premio Nobel per la Pace: “Oggi quando sentiamo o leggiamo di violenze, militarismo, povertà, guerra, pandemia, cambiamento climatico per il mondo, e particolarmente della sofferenza di milioni di bimbetti affamati in un mondo ricco, è arduo non provare
disperazione e stupore… ‘dove sta la speranza?’…La nostra speranza sta in vite come quelle di Chelsea (Manning), Ed(ward Snowden) e Julian (Assange); il loro altruismo aiuta a ristabilire la fede in noi stessi e nei nostri fratelli e sorelle ovunque… Avrebbero potuto starsene zitti ma scelsero l’ardua strada di dire la verità. Adesso vengono puniti crudelmente e vendicativamente da quelli che hanno infranto il diritto internazionale, da quelli stessi che dovrebbero essere tenuti responsabili per la morte di
bambini e civili in Iraq, Afghanistan, Pakistan, Libia, Siria, Yemen…
Il Comitato per il Nobel potrebbe proteggere e contribuire a salvare la vita di questi tre Campioni della Pace conferendo loro il Premio Nobel per la Pace 2021. Così facendo il Comitato onorerebbe la volontà di Nobel, riconoscendo veri eroi della Pace. E il Comitato così darebbe anche grande speranza a editori, giornalisti, scrittori e molti altri che affrontano la repressione e la persecuzione dei propri governi lottando per essere autori di verità e di storia dell’umanità.”

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