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giovedì , 10 Ottobre 2024

“I cento anni sono passati. E ora?”

Si è fatto spesso menzione negli ultimi tempi del centenario della nascita del Partito comunista d’Italia. C’è stato un grande dibattito su questo evento, diverse analisi, ed elenchi dei pregi e dei difetti della esperienza comunista italiana. Io ne sono un po’ a digiuno, in realtà, nel senso che non mi sono mai focalizzato così tanto sulla storia del comunismo italiano, né su quella dei suoi più grandi rappresentanti, almeno in linea generale. A parte la storia, a grandi linee, di personaggi del calibro di Antonio Gramsci, per esempio.
Però, al netto delle ideologie e della storia che il comunismo ha rappresentato nell’epoca recente, almeno qui in Italia, c’è un dato statistico su cui è necessario soffermarsi e riflettere, per capire le contraddizioni e le nefaste conseguenze che questo ha portato nella società che stiamo vivendo oggi. L’1% di quelli più ricchi detiene il doppio della ricchezza di 6,9 miliardi di persone, a livello mondiale.
Un dato che, solo a parlarne, dovrebbe porci dei seri interrogativi. Questo non è solo un semplice elemento statistico, ma rappresenta quello che è il sistema capitalistico: un generatore infinito di continue e crescenti diseguaglianze, un sistema profondamente ingiusto ed eticamente criminale, basato sullo sfruttamento e sulla spasmodica ricerca di profitto a tutela dei pochi, e a danno di tutta la comunità restante. E’ il capitalismo il virus più potente, devastante e letale a livello globale. E come tale non può essere corretto, o modificato, come dice qualcuno, ma deve essere completamente raso al suolo.

Spesso invece di fronte a tutto questo, si sente dire che la lotta di classe è una roba vecchia, obsoleta. Non sapendo che, in realtà, è una forma di lotta più attuale che mai, oltre che necessaria, e che deve prendere piede sempre di più. E il fatto che ci siano anche soggetti “de sinistra” a snobbare questa cosa, lo rende alquanto paradossale.
Quando si parla di capitalismo, in genere si tende a rimanere nella superficie, come se fosse una cosa un po’ aleatoria. Eppure le conseguenze sono lampanti. Pensiamo all’ENI, la più grande azienda italiana, che con le sue politiche sta devastando interi territori, depredandoli delle proprie risorse, soprattutto in diverse zone dell’Africa nera. Lo stesso colosso energetico che è coinvolto in diverse inchieste giudiziarie, come in Congo, e che vede il proprio AD Claudio Descalzi imputato per corruzione internazionale, per quella che la procura di Milano considera la più grande presunta tangente mai pagata prima. Pensiamo ad Amazon, uno dei più grandi colossi del commercio on-line, che per stare al passo con i tempi “moderni” sfrutta i propri lavoratori, e al tempo stesso riceve degli agevolatissimi vantaggi fiscali, eludendo il fisco per miliardi di euro. O la PUMA, che sostiene le squadre di calcio degli insediamenti illegali di Israele, e che sta contribuendo ad un’espropriazione brutale nei confronti dei palestinesi autoctoni. Passando per gli USA, la faccia più spietata dell’imperialismo che, con il beneplacito della NATO, ha commesso i più grandi crimini e colpi di Stato in tutto il mondo dalla fine della seconda guerra mondiale in poi. Arrivando all’Unione europea, un organismo sovra-nazionale che pretende di stare al di sopra dei singoli governi, e che con i suoi trattati ostacola, di fatto, quei processi volti a garantire i diritti economici e sociali previsti dalla Costituzione. Che dire, poi, di tutte quelle grandi opere inutili come il TAV, o il TAP, spacciate come forma di progresso, quando l’unico progresso che portano è quello diretto alle grandi multinazionali che da quei cantieri vedono fruttare lauti profitti. Gli stessi progetti per i quali, almeno nella vicenda che riguarda la Val Susa, si sono registrati diversi arresti di attivisti del territorio – che, in maniera non violenta, e con coraggio, vi hanno opposto resistenza – e che spesso puzzano anche di malaffare. E che vanno a violare il diritto che quelle popolazioni stanno esercitando nella difesa del proprio territorio.
Perciò, è da qua che bisogna partire. Perché se c’è l’1% che domina, allora c’è anche un “99%” che prima o poi andrà a reclamare i propri diritti. Per farlo serve agire, e non “sparpagliarsi” in mille diversi rivoli. Il “nemico” da affrontare è talmente potente che serve una grande unità per portare avanti la lotta. Un gruppo di cittadini che si mette in moto, che si organizza, e che ci crede è in grado anche di spostare le montagne.
«Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza», queste sono parole di Antonio Gramsci. Più attuali che mai, soprattutto in questo periodo.
Uniti possiamo destituirli. Divisi continueranno a comandarci. Per cui, al di là di qualche analisi o dichiarazione fatta in omaggio al centenario, forse, è questo il miglior modo per commemorarlo.

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