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mercoledì , 24 Aprile 2024

Accade a Naso, accade in Sicilia

Spesso le concessioni demaniali sono presentate come se fossero necessarie, il frutto naturale dell’evoluzione della storia: a cosa servono le bellezze naturali se non a favorire l’insediamento di attività economiche, la turisticizzazione? Ci guadagnano tutti: l’imprenditore, che esercita la sua attività; gli utenti, che usano i servizi offerti (quasi non se ne possa fare a meno); il Comune, che incassa i canoni. Ma è davvero così, o le concessioni sono piuttosto uno dei simboli migliori di come sia degenerata la concezione della cosa pubblica? Il demanio esiste per garantire un utilizzo da parte del Comune, o per essere liberamente goduto da tutti? Nel 2021, l’esperienza maturata in tema di concessioni balneari, dovrebbe far riflettere sulla loro inadeguatezza come strumento di valorizzazione del territorio, ma a livello legislativo (come si capirà meglio nel prosieguo) la sdemanializzazione è ormai, più che autorizzata dalla legge, un principio consolidato; a livello locale, una pratica uniformemente diffusa: dalle spiagge più famose, a quelle meno note. Come la spiaggia di Naso.

Naso è un paese di quattromila abitanti, in provincia di Messina. Il suo centro storico sorge su una collina tra la costa tirrenica e i monti Nebrodi, ma il territorio comunale si estende fino a includere un brevissimo litorale (poco meno di due chilometri) tra i comuni di Capo d’Orlando e Brolo. Proprio per questa sua collocazione, tra due comuni (soprattutto il primo) mete “storiche” del turismo balneare, la spiaggia di Naso non è mai stata interessata da cementificazioni o attività economiche tipiche del turismo della civiltà dei consumi; è rimasta “al naturale”, una delle ultime nella provincia, lontana da centri urbanizzati, con la vegetazione costiera a delimitarne i confini.

Grazie a queste peculiarità, negli ultimi anni la spiaggia è stata quindi (ri)scoperta da molte persone. Agli amministratori locali viene così la brillante e innovativa idea di lottizzarne la metà, per consentire l’insediamento di stabilimenti balneari, zona di attracco e noleggio natanti, e tutte quelle attività (zona ristoro, area attrezzata, ecc..) con cui evidentemente misurano l’importanza del proprio territorio: “Bisogna valorizzare il paese” e, si sa, non basta mantenere il litorale pulito, svuotare i cestini, installare le docce all’inizio della stagione estiva e toglierle a settembre (come si è sempre fatto). Ci vuole di più, ci vuole il privato, il privato sa come si fa.

Il rischio è ovviamente quello di rimuovere proprio quelle caratteristiche che rendono la spiaggia più attrattiva e che l’hanno resa più affollata, a dimostrazione che non si cerca più la sdraio a noleggio, la moto d’acqua, le cabine (e se si cercano, si trovano facilmente nelle vicinanze), ma luoghi incontaminati e bellezze naturalistiche. I canoni di valorizzazione del territorio sono cambiati, tuttavia l’amministrazione comunale non se ne è accorta (o fa finta di non accorgersene) e la sua programmazione per l’utilizzo del demanio marittimo finirà per non portare alcun beneficio al paese. Tra l’altro, i lotti da dare in concessione sono concentrati nell’unico tratto effettivamente fruibile del litorale (circa ottocento metri), poiché nella restante area la balneazione è preclusa dalla presenza della foce di una “fiumara” e dalle caratteristiche della costa. In questo modo, pur osservandosi formalmente la quota minima che per legge deve essere destinata alla libera fruizione del pubblico (“il cinquanta percento dell’intero litorale di pertinenza” del Comune), in sostanza si sottrae alla lottizzazione una quota molto più bassa e minoritaria. La legge regionale, sicuramente, sul punto lascia maglie eccessivamente ampie (inoltre, anche se non è il nostro caso, si salvano le concessioni già in essere all’entrata in vigore della norma), ma dagli amministratori locali è lecito attendersi un utilizzo del potere pubblico che sia proporzionato alla situazione concreta nella quale detto potere viene esercitato.

Ho voluto esporre la vicenda del piano di utilizzo del demanio marittimo di questo piccolo paese siciliano non solo perché mi interessa in prima persona (e questo immagino che ai più non importi), ma perché la ritengo emblematica della facilità con cui luoghi preziosi possano essere deturpati da una visione politica ormai antiquata e rivelatasi infruttuosa. Se tutto questo accade a Naso, quattromila anime e ottocento metri di spiaggia, può accadere ovunque. Anzi, certi mutamenti avvengono più facilmente nei piccoli centri, grazie alla lontananza dai fari dell’attenzione pubblica. Non è difficile immaginare però cosa si ottiene sommando le situazioni locali: una gigantesca questione (almeno) regionale.

Concludo, infatti, con le ultime novità della legislazione siciliana sul tema, che solo in parte ricalcano le previsioni per il resto d’Italia.

A fine 2020 l’Assemblea regionale siciliana ha approvato l’ultima novità in materia: la legge regionale 32 del 16 dicembre, che contiene due previsioni fondamentali. La prima estende la validità delle concessioni balneari in essere e di quelle rilasciate entro il 28 febbraio 2021, fino al 31 dicembre del 2033: è la terza proroga per legge dal 2013, in barba alle procedure ad evidenza pubblica che dovrebbero essere la condicio sine qua non per il rilascio delle concessioni (con la conseguente violazione della direttiva europea in materia). Inoltre, prolungando per almeno vent’anni la durata delle concessioni balneari, di fatto si elude il carattere dell’inalienabilità del demanio, che rimane “garantito” solo dal canone che i concessionari sono tenuti a sborsare. Le pubbliche amministrazioni faranno quindi il pieno di questi canoni, ma c’è da chiedersi se basteranno per pagare le sanzioni della Commissione europea verso le quali questa legislazione ci espone.

La seconda novità della legge summenzionata, è il via libera alle nuove concessioni anche in pendenza del procedimento di approvazione della pianificazione demaniale. In parole povere, si potranno rilasciare nuove concessioni balneari anche senza le dovute valutazioni ambientali (“VAS” in primis), previste dal testo unico sull’ambiente, e senza gli altri atti endoprocedimentali necessari, che possono essere formalizzati a posteriori. Non una semplificazione, ma una deregolamentazione selvaggia.

Così la sdemanializzazione, come accennato in apertura, è ormai un principio consolidato nell’ordinamento. Costi quel che costi, in termini ambientali ed economici.

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