fbpx
giovedì , 25 Aprile 2024

Abbiamo imparato la violenza da voi

Vorrei fare una riflessione sul comportamento violento dei manifestanti nel corso delle rivolte statunitensi. Ci arrivano notizie di auto della polizia incendiate, città messe a ferro e fuoco, saccheggi, scontri tra manifestanti e polizia, feriti e morti.

Io non mi riconosco nella violenza come strumento di lotta politica. Credo però che sia una follia narrare i fatti degli ultimi giorni come se il comportamento violento dei manifestanti possa in qualche modo delegittimare la loro protesta. Le comunità afroamericane si stanno infatti ribellando ad un sistema che discrimina, opprime e uccide i neri ogni giorno. Che la rabbia possa prendere forme violente non dovrebbe sorprenderci e soprattutto non può cancellare il fatto che quella rabbia è totalmente giustificata. 

La rivolta di Minneapolis del 27 maggio è scoppiata in seguito all’assassinio di George Floyd per mano di Derek Chauvin. La miccia è quindi stata l’ennesimo omicidio di un afroamericano da parte di un poliziotto, e la consapevolezza che anche questa volta l’assassino sarebbe rimasto impunito. Ma le proteste non sono solo un atto di ribellione contro la violenza, il razzismo e l’omertà che caratterizzano la polizia statunitense. Sono un atto di ribellione contro il sistema sociale americano.

Delle migliaia di persone che sono scese in piazza in tutti e 50 gli Stati americani, la maggioranza ha dato vita a manifestazioni pacifiche. Su internet troviamo le immagini di folle oceaniche e multietniche unite per chiedere giustizia e dire che “le vite nere hanno valore”. Il video più potente è quello in cui si vede la folla rimanere in silenzio per un minuto, in ginocchio e con il pugno alzato, in ricordo di George Floyd.

Esistono anche decine e decine di video che riprendono poliziotti e militari mentre attaccano violentemente i manifestanti. Li vediamo caricare, spintonare e picchiare con i manganelli persone inermi, usare lo spray al peperoncino, lanciare fumogeni. In alcuni video vediamo addirittura auto della polizia che investono le persone. Ci sono poi le immagini delle profonde ferite causate ai manifestanti dai proiettili di gomma. Amnesty International ha dichiarato che la polizia statunitense “non rispetta il diritto di manifestazione pacifica”. Un capitolo a parte potrebbe essere dedicato alle violenze verso i giornalisti. 

Dall’altra parte, i manifestanti “violenti” sono ritratti mentre distruggono vetrine, vandalizzano i muri, saccheggiano alcuni negozi soprattutto della grande distribuzione e appiccano il fuoco, incendiando in particolare decine di auto della polizia. L’immagine più forte è ovviamente quella del commissariato di Minneapolis che brucia. La violenza fisica contro singoli poliziotti è stata fino ad ora limitata, la rabbia dei manifestanti si è riversata su beni materiali.

Chi si scandalizza per l’uso della scritta ACAB e per le auto della polizia bruciate, non capisce che la polizia, come istituzione, rappresenta per la comunità afroamericana uno strumento di oppressione istituzionalizzata. Chi si indigna per i saccheggi non si rende conto dell’emarginazione economica a cui il sistema capitalistico americano condanna le masse lavoratrici e soprattutto le comunità nere. “Non parlateci dei saccheggi. Voi avete saccheggiato i neri. L’abbiamo imparato da voi. Abbiamo imparato la violenza da voi” ha detto l’attivista Tamika Mallory. 

Per comprendere momenti storici come questo è necessario un certo grado di generalizzazione. E’ necessario astrarsi dalla moralità dei singoli atti e capire il senso sistemico di quanto accade. E quello che sta accadendo è alla fine abbastanza semplice. Migliaia di persone stanno mettendo in discussione un modello economico e sociale fondato sullo sfruttamento dei neri, dei lavoratori, degli indigeni, delle donne. 

La battaglia sociale condotta rispettando le istituzioni non è una battaglia ad armi pari, perché quelle istituzioni sono state costruite dalla classe dominante per mantenere il proprio dominio. Per questo motivo noi non abbiamo alcun diritto di giudicare il comportamento di un gruppo oppresso che sta cercando di liberarsi dalla violenza dell’oppressore. Chiedere di rispettare l’ordine e la pace sociale significa voler mantenere uno status quo che si fonda sulla morte e sullo sfruttamento.

“Non ci sarà pace finché non ci sarà giustizia”.


Social media & sharing icons powered by UltimatelySocial
Facebook
Instagram