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martedì , 19 Marzo 2024
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Quel che Draghi non dice

Il 30 luglio 2020 è uscito il Focus Censis Confcooperative “Covid, da acrobati della povertà a nuovi poveri. Ecco il rischio di una nuova frattura sociale”.

Questi “acrobati” sono tutti quei lavoratori che durante il lockdown hanno visto crollare il loro reddito andando a ingrossare la sacca di povertà assoluta. Sfruttati, mortificati, mal pagati, senza una rete di protezione sociale e risparmi a cui attingere, con un futuro previdenziale da incubo e senza tutele minime, hanno sempre guadagnato il minimo per sbarcare il lunario, ma il lockdown li ha messi ko.

Chi sono? Un esercito di precari già duramente messi alla prova in fase pre-Covid.

Nel dicembre 2019 l’ultimo rapporto Istat sul lavoro ha fatto emergere come nel nostro paese i precari siano 3.123.000, numero che porta l’Italia al 5° posto in Europa per numero di lavoratori instabili.

Precari e irregolari sono i soggetti deboli del mercato del lavoro e i più colpiti dalle ricadute economiche del Covid-19. Le coperture dei Decreti Cura Italia si sono fermate ai confini del mercato del lavoro “regolare”, tutelando lavoratori con contratto subordinato, anche a termine, ma lasciando scoperti, soprattutto all’inizio, i contratti irregolari o privi di un nucleo minimo di tutele: lavoratori dello spettacolo, false collaborazioni coordinate e continuative, partite iva o intermittenti che simulano un rapporto subordinato, lavoratori stagionali o a progetto.Il Focus del 30 luglio certifica che sono 2,1 milioni le famiglie con almeno un componente che lavora in maniera non regolare. Ben 1.059.000 famiglie vivono esclusivamente di lavoro irregolare (il 4,1% sul totale delle famiglie italiane) e di queste, 1 su 3 è composta da cittadini stranieri. 1/5 ha minori tra i propri componenti, quasi 1/3 è costituito da coppie con figli mentre 131mila famiglie possono invece contare solo sul lavoro non regolare dell’unico genitore.

La geografia delle famiglie povere vede in testa il Sud con il 44,2% di famiglie con solo occupati irregolari, il 21,4% nelle regioni centrali, il 20,4% nel Nord Ovest e il 14% nel Nord Est.

La geografia sociale ed economica in Italia è molto sbilanciata, con poco meno di 23 milioni di lavoratori, oltre 16 milioni di pensionati, 10 milioni di studenti e oltre 10 milioni di poveri.

Nel 2019 le persone in povertà assoluta erano 4,6 milioni, di cui il 40,5% residente nelle regioni settentrionali e il 45,1% nel Mezzogiorno. Tra gli individui assolutamente poveri 1 su 4 erano minori mentre gli stranieri 1 su 3. I senza fissa dimora erano stimati in 112 mila ma l’area che faceva ricorso agli aiuti alimentari arrivava a comprendere 2.700.000 persone.

Durante i mesi di stretto lockdown, la metà degli italiani (50,8%) ha sperimentato un’improvvisa caduta delle proprie disponibilità economiche, con punte del 60% tra i giovani (18-34 anni), del 69,4% fra gli occupati a tempo determinato, del 78,7% fra imprenditori e i liberi professionisti, del 58,3% tra gli occupati a tempo indeterminato.

Paura, incertezza, precarietà sono oggi i maggiori timori degli italiani. Secondo il Censis il 55% della popolazione teme l’eventualità che una volta passato lo stordimento da contagio, si possano diffondere rabbia e odio sociale come conseguenza delle difficoltà economiche, soprattutto di quelle che dobbiamo ancora vedere in autunno.

Working Poor e lavoratori irregolari rappresentano una doppia debolezza nel nostro mercato del lavoro che potrebbe esplodere perchè la lockdown economy ha rischiato (e rischia ancora) di incenerire il lavoro di 2,9 milioni di working poor (di cui il 47,4% di età compresa tra i 30 e i 49 anni) e di 3,3 milioni di irregolari (che lavorano nei Servizi, come Personale Domestico, nell’Agricoltura e nell’Industria).

Abbiamo dunque un mercato del lavoro che dimentica completamente chi, già in condizioni normali, è sprovvisto di reali garanzie economiche e contrattuali. Questa situazione non nasce per caso, ma è il frutto di decenni di politiche del lavoro liberiste e capitaliste, che – in maniera bipartisan – hanno sempre affermato come la soluzione a tutte le crisi economiche fosse “una sempre maggiore flessibilità del mondo del lavoro”.

Una cura possibile? Ripensare regole e tutele del lavoro, riportare i contratti a sole 3 tipologie – tempo indeterminato, determinato, partite iva – e, finchè saranno presenti contratti “flessibili”, introdurre l’obbligo per i lavoratori assunti tramite contratti atipici di iscrizione al sindacato. Su tutto, c’è la necessità di intervenire per dare piena attuazione all’Articolo 39 della Costituzione Italiana.

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