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sabato , 20 Aprile 2024

“Good ol’ Karl”. Alla riscoperta di Marx

Articolo pubblicato su Kritica Economica e disponibile al seguente link:

Quando Marx iniziò a scrivere “Il Capitale”, decise di partire da quello che, all’epoca, sembrava un concetto imprescindibile dell’economia, senza il quale non sarebbe potuta esistere alcuna ricchezza: la merce.

La centralità di questo concetto è ribadita proprio nella prima frase:

La ricchezza delle società nelle quali predomina il modo di produzione capitalistico si presenta come una “immane raccolta di merci” e la merce singola si presenta come sua forma elementare. Perciò la nostra indagine comincia con l’analisi della merce”.

Lo schema marxiano di produzione di un valore è tanto semplice quanto elegante. Ogni merce ha un valore (V) dato dalla somma del valore intrinseco, ovvero dalla disponibilità o rarità della materia prima (M), dal bisogno che quel bene soddisfa (B) e dal lavoro necessario alla sua realizzazione (L). Quindi, per dirla in maniera semplice, V=M+B+L. L’imprenditore, non potendo determinare i primi due valori, si rifà tutto sul lavoro dei suoi dipendenti, sottraendone una parte, e “aggiungendo” una variabile che non ha niente a che fare con la merce e che Marx chiama, appunto, “plus-valore”. Questo processo di produzione e scambio della merce è ciò che permette di incrementare il capitale.

Quindi l’imprenditore utilizza del denario (D) per produrre merce (M) che verrà riveduta un valore superiore rispetto al denaro investito (D1). Il processo di accrescimento del capitale (e cioè il capitalismo, che chiameremo C) è quindi sintetizzabile con la formula C= D→M→ D1. Il “conflitto”, inteso come frizione e presenza di interessi contrastanti, si svolge tutto all’interno dell’unico passaggio in cui la variabile umana gioca un ruolo: dentro M e, come vedevamo nella prima formula, in particolare dentro al lavoro.

Bene. Ora questo spiegone de “il Capitale in 10 righe” lo potete mettere in cima alle cose di cui non vi importa o utilizzarlo per fare bella figura dicendolo di averlo letto, come, del resto, il 99% della gente che dice di averlo fatto. Certo, se poi beccate quel 1% rischiate di fare una figuraccia, ma nella vita a volte vale la pena rischiare.

Tuttavia, il motivo per il quale ho fatto questo bignami è per dire una cosa altrettanto semplice: oggi non è più così. Chiunque conosca anche solo minimamente i meccanismi della finanza sa che è perfettamente possibile (e anche più redditizio) liberarsi del passaggio dalla merce e cercare di incrementare denaro partendo direttamente dal denaro, come una sorta di D→D1, come un novello Barone Münchausen che si tira su per il codino. Ma mentre nel caso del Barone la storia che si fosse salvato dalle sabbie mobili tirandosi per il codino era chiaramente una balla, nel caso dell’economia improvvisamente finisce per convincere tutti tanto da sembrare non solo possibile, ma perfino legittimo. Comunemente viene chiamata “speculazione”.

Questa finanziarizzazione dell’economia ha completamente spiazzato le sinistre di tutto il mondo portando a un impazzimento collettivo: chi dice che allora Marx sbagliava, chi se la prende con il destino cinico e baro, chi ha dichiarato la sconfitta e si è asservito al capitale, chi continua a combattere sul campo, ma accerchiati, con armi spuntate e senza rendersi più neanche conto dove sono i compagni e dove i nemici. TipoJon Snow nella “battaglia dei bastardi” prima che arrivi la ragazzina con la cavalleria, per capirci. Inutile dire che:

  • no, Marx non sbagliava, semplicemente descriveva un modello che poi si è in parte modificato;
  • no, non è colpa del destino;
  • se anche dovessimo aver perso una battaglia, non è il caso di farsi prendere dalla sindrome si Stoccolma e aiutare il nemico a finirci,
  • a questo giro non arriverà nessuna ragazzina con la cavalleria e, quindi, siete fregati.

Date queste premesse, appare evidente quanto sia complicato e ingrato il compito di chi cerca di fare politica da sinistra oggi. Occorre rimettersi al tavolino e ripensare tutto da capo utilizzando gli stessi strumenti del materialismo marxiano e cercando di fare un’analisi dei concetti fondamentali, delle dinamiche e degli eventuali conflitti.

Bisogna innanzitutto aggiungere una categoria.

Se, come ho già detto, esiste una porzione di economia che si muove senza bisogno di passare per la merce, non dobbiamo dimenticare che esiste comunque un’altra porzione per la quale lo schema marxiano rimane vero. La frase che citavo all’inizio per cui siamo circondati di merci è più vera che mai e quelle merci vengono prodotte da lavoro umano.

Oh, sia chiaro che per merci intendiamo anche i servizi al pubblico, le cui prestazioni, benché non costituiscano un oggetto fisico, sono comunque il frutto di un lavoro: dal call center al fattorino, dalla consulenza con un professionista al lavoro “intellettuale”, noi tutti paghiamo per un lavoro necessario alla vendita di un bene “immateriale”.

A queste due porzioni di economia, capitalismo con merce (CM) e capitalismo speculativo (CS), è necessario oggi aggiungerne un’altra ancora che, sebbene gestisca, acquisti e rivenda un bene, necessita di pochissimo e, a volte, nessun lavoro (CSL). Questo tipo di capitalismo nasce, ovviamente, con l’informatizzazione. Basti pensare, ad esempio, alla gestione dei dati: questi sono una merce e come tale viene venduta e comprata, tuttavia la sua produzione si affida allo spontaneismo delle persone che cedono questi dati in cambio di servizi ritenuti gratuiti. Non serve lavoro (se non di gestione) e quel poco che serve è assolutamente sproporzionato rispetto alla quantità di capitale che questo è in grado di generare. Basti pensare che più del 50% degli utili di Amazon non è dato dall’e-commerce, ma dalla vendita e dalla gestione di dati.

Quindi abbiamo da una parte il capitale derivato da merce, da un’altra parte il capitale derivato da merce ma senza (o quasi) lavoro e il capitale derivato da altro capitale. Le ultime due categorie hanno, però, bisogno di una serie di figure professionali per far andare avanti la baracca. Queste figure sono spesso ascrivibili alla categoria del lavoratore autonomo, ovvero quella persona che viene pagata sulla singola prestazione che viene erogata una tantum e, a volte, non direttamente dal soggetto che vuole incrementare il capitale, ma da società intermedie per le quali vale lo schema marxiano.

A tutte queste figure (che, tranquilli, tra poco vado a riepilogare) si affiaca l’immancabile “esercito di riserva” (ER): quella massa di persone disoccupate che, grazie alla continua precarizzazione del lavoro, aiuta i detentori del capitale a tenere basso il prezzo del lavoro, secondo l’antica minaccia contro i dipendenti “se non ti piacciono queste condizioni, quella è la porta che tanto io ne trovo altri cento”.

Quindi, come promesso, abbiamo il lavoro, il lavoro autonomo, l’esercito di riserva e i tre capitali: quello derivato da merce, quello derivato da merce ma senza lavoro e quello derivato da capitale.

È evidente che questo schema non spiega tutto. Non compaiono, ad esempio, i lavoratori pubblici o il lavoro autonomo (LA) rivolto al vasto pubblico (tipo l’idraulico che ti viene a casa o lo psicologo dal quale vai a parlare dopo che hai visto la ricevuta dell’idraulico). Queste figure non compaiono perché la prestazione non ha come obiettivo l’incremento di capitale, ma il proprio mantenimento. Tuttavia anche queste figure vivono dei conflitti, ma vedremo quali più avanti.

Ovviamente, nei tre “capitali”, le divisioni non sono nette: vi sono aziende tanto grandi da coprire tutte e tre le posizioni, altre che ne coprono solo due ecc. Come ogni schematizzazione qualcosa si perde e a noi non resta che cercare di discernere quello che è un ragionamento complessivo da quelle che sono poi i casi singoli.

Ma se queste sono le parti in campo, dove si trovano i conflitti? Al di là di quello marxiano tra capitale (derivato da merce) e lavoro, ve ne sono altri? Credo se ne possano individuare almeno altri sei: quello tra CM e CSL, quello tra CSL e ER, quello tra CSL e LA, quello tra CS e LA, quello (presunto) tra L e ER e, infine, quello che vede da una parte ER, L e CM e dall’altra CS.

Ok, mi rendo contro che le ultime tre righe sembrano scritte da un matto. Forse uno schema potrebbe aiutare:

Da questo schema è possibile vedere come il conflitto “Capitale (CM) – Lavoro” così come descritto da Marx non è che uno dei tanti conflitti che la maturazione del sistema capitalistico ha portato. Alcuni di questi sono perfettamente intuibili e definibili, come ad esempio quello tra lavoro autonomo e i due “capitali” senza lavoro dove i termini del conflitto sono quelli da una parte di un’eccessiva precarietà e, dall’altra, la volontà di continuare a incrementare il proprio capitale senza spese se non quando è strettamente necessario. Parimenti intuibile risulta lo scontro tra l’esercito di riserva che vorrebbe lavorare e il capitale che non necessita di lavoro.

Proviamo invece ad analizzare gli altri, partendo innanzitutto dall’asse di conflitti tra “esercito di riserva”, lavoro e capitale derivato da merce. Qui, per ragioni grafiche, non ho inserito lo scontro “diretto” tra esercito di riserva e capitale, ma è evidente che il conflitto marxiano tra lavoro e capitale coinvolge anche l’esercito di riserva. Ciò che risulta meno intuitivo è ciò che prima definivo “presunto” conflitto tra Lavoro e ER. Dico presunto perché, benché i loro interessi siano facilmente accomunabili, vi è una consistente parte della classe lavoratrice che percepisce come proprio avversario chi invece in quella classe vorrebbe entrare. Basti pensare al fenomeno dell’immigrazione: una massa di persone che arrivano “abbassando” gli standard salariali e innescando un gioco al ribasso che i lavoratori percepiscono, a ragione, come lesiva dei propri diritti. Lo stesso vale per chi vive di sussidi e che viene percepito, da una parte dei lavoratori, come parassitario.

Dove sono però le ragioni di questo pseudo-conflitto? Come per i latini, credo valga la formula “cui prodest scelus, is fecit”, ovvero “il delitto l’ha commesso colui al quale esso giova”: il capitale.

Da molti anni subiamo una continua propaganda sulla necessità di “meritarsi” le cose anche se queste sono indispensabili al proprio mantenimento. Questa propaganda, ormai pienamente egemone, è stata meticolosamente portata avanti da buona parte del mondo capitalistico attraverso quelli che sono i propri organismi ufficiali. I giornali (che di certo non appartengono allo Stato, ma a imprenditori), le televisioni private, i quotidiani online (quelli che contano, e che si possono permettere di pagare i redattori, di farsi pubblicità ecc. non roba tipo “questononvelodicono.info”), tutti questi soggetti hanno continuato con un martellamento continuo nei confronti dei lavoratori con l’aiuto di una buona parte della media e bassa borghesia, utile idiota del capitale.

Già, perché all’interno dei lavoratori vi è tutta una fetta di persone culturalmente più preparate ed economicamente più emancipate che, spinte dal desiderio del “salto” sociale, hanno rimosso di trovarsi nella stessa identica situazione di sfruttamento del commesso o dell’operaio. Certo, si parla di uno sfruttamento a condizione migliori, ma sempre sfruttamento è. Tuttavia, proprio date le condizioni migliori, questo sfruttamento non è percepito e sembra loro, tutto sommato, funzionare.

Ad ogni modo, dicevamo che una parte della classe imprenditoriale porta avanti da anni una campagna di attacco a tutto ciò che è escluso dal mondo del lavoro fingendo che la cosa non torni loro utile.

Ecco quindi che una parte dei lavoratori viene convinta a considerare un proprio avversario coloro i quali potrebbero rappresentare il loro maggiore (e forse unico) alleato in una specie di lotta per la sopravvivenza.

Ma questo lo ha già spiegato bene il buon vecchio Marx. Rimane il fatto che una sinistra che continua a concentrarsi sullo scontro tra capitale derivato da merce e lavoro ignorando gli altri o che, peggio, continua a negare i conflitti e a chiedere la “pace” sociale in nome della crescita e con la promessa di una futura redistribuzione, è destinata – questa volta sì, meritatamente – all’estinzione.

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