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giovedì , 18 Aprile 2024

Thaddeus Stevens, il vecchio plebeo

Nel 1821 viveva in Maryland una donna di colore chiamata Charity Butler, la quale per la legge del suo stato era una schiava, proprietà del signor Norman Bruce. Tuttavia veniva spesso portata al seguito del padrone in Pennsylvania, dove la legge prevedeva che fosse libero ogni schiavo che avesse vissuto nello stato per almeno sei mesi. Charity Butler invocò quindi la libertà per se stessa e per i due figli, dando vita ad una annosa questione legale. A difendere in tribunale gli interessi dello schiavista fu chiamato un noto avvocato ventinovenne del tempo.

Costui era Thaddeus Stevens. Nato in una povera famiglia contadina del vicino Vermont, dove visse un’infanzia dura, con una malformazione del piede che lo rese zoppo sin da piccolo e un padre alcolizzato che quasi subito abbandonò la famiglia. Fu solo grazie ai grandi sacrifici della madre che riuscì a studiare, trasferirsi in Pennsylvania e divenire uno dei più noti avvocati dello stato.

Gli Stati Uniti nei primi dell’Ottocento erano appena usciti dalla guerra d’indipendenza dal Regno Unito. Dei cinquanta stati attuali nel 1803 se ne contavano solo diciotto. La schiavitù rappresentava la spina dorsale del sistema produttivo americano. Ma già i padri costituenti avevano ravvisato la contraddizione tra il testo della Dichiarazione d’Indipendenza, i principi dell’illuminismo a cui s’ispirava e l’impossibilità di porre fine al sistema schiavistico senza andare incontro ad un collasso economico.

Quindi nei giorni che vedevano il sorgere del dibattito sulla schiavitù Thaddeus Stevens dimostrò con l’abilità retorica che lo distingueva che Charity Butler non aveva vissuto per sei mesi in Pennsylvania, facendola ricondurre in catene insieme ai due figli. La sera il cui la causa della libertà perdeva tre individui, senza saperlo, ne guadagnava altri milioni. Stevens visse infatti i giorni successivi acquisendo la straziante consapevolezza di aver usato la propria abilità, seppur nel rispetto della legge, per privare tre persone della libertà.
Di lì a poco iniziò ad occuparsi di politica, divenendo nel 1833 deputato nel Parlamento della Pennsylvania. Solo due anni dopo si trovò guidare con successo la strenua battaglia parlamentare per l’istituzione della sanità pubblica nello stato. Per anni rimase nella sfera del partito Whig, la storica sinistra protezionista, progressista e repubblicana, divenendo nel 1850 uno dei primi e dei maggiori sostenitori dell’abolizione della schiavitù eletti nel Parlamento degli Stati Uniti d’America.

Nel 1855 si affacciò sulla scena politica il neonato Partito Repubblicano, che vide molti esponenti Whig abolizionisti prenderne parte, tra cui William Seward, Abraham Lincoln e lo stesso Stevens (per i lettori che se lo stessero chiedendo: il Partito Democratico e quello Repubblicano invertirono la propria collocazione politica agli inizi del 900, giungendo gradualmente a quella attuale). Iniziavano così a consumarsi i primi atti della grande divisione che di lì a pochi anni avrebbe lacerato il paese. Gli stati del nord avevano infatti assunto un’economia prevalentemente industriale, che grazie anche alla forte immigrazione dall’Europa non richiedeva più l’utilizzo di schiavi e vedevano con favore una politica protezionista che impedisse a manifatture straniere di riversarsi nel mercato interno. Gli stati del sud avevano invece mantenuto un’economia prettamente agricola, fondata su grandi latifondi
lavorati dagli schiavi che si basava sulla capacità di esportazione del cotone in Europa. Tale divisione non poteva che rispecchiarsi nel consenso popolare. A sud trionfava il Partito Democratico, conservatore e pro schiavitù, mentre a nord si consolidava il giovane Partito Repubblicano, nel quale ormai avevano trovato posto tre correnti di pensiero. Una più conservatrice, una liberale guidata da Lincoln ed una che venne chiamata radicale, capitanata da Thaddeus Stevens.

Lo scontro esplose quando nel 1860, sfruttando la divisione tra democratici del sud e del nord, Abraham Lincoln venne eletto presidente degli Stati Uniti d’America. Thaddeus Stevens, rieletto al Congresso, era divenuto nel frattempo presidente del Comitato Fiscale della Camera, assumendo l’influenza che il controllo dei conti dello Stato comporta. Iniziò così la grande storia di due uomini che con metodi, approcci e tempi diversi lottavano per costruire lo stesso futuro. Quando nel 1861 in seguito al risultato delle elezioni gli stati del sud dichiararono la secessione, ebbe inizio quell’atroce conflitto passato alla storia con il nome di Guerra Civile Americana. Lincoln, seppur la schiavitù restasse un nemico da abbattere, lottò per salvare l’unione. Per Stevens il fuoco sputato dai cannoni serviva a demolire le catene che legavano gli schiavi del sud ai loro padroni.

In quegli anni la Camera dei Rappresentanti conobbe ancor di più, se possibile, tutto l’infaticabile ardore di Thaddeus Stevens. Con il suo carattere burbero e la sua retorica tagliente lottò un metro alla volta per la piena uguaglianza. Presentò ripetutamente al Congresso proposte radicali di emancipazione, profondendosi in dure invettive contro quelli che considerava i traditori del sud. Questi lo consideravano la piaga della Camera, un demonio e lo soprannominarono “il vecchio plebeo”. Il deputato democratico della Georgia Howell Cobb disse di lui “Il nostro nemico finalmente ha un generale. Lui seriamente intende quel che dice; è audace, non può essere spaventato o lusingato”.

Lincoln stesso, continuamente incalzato da Stevens per le proprie politiche timide riguardo all’abolizione, un giorno dichiarò: “Stevens, Sumner e Wilson semplicemente mi perseguitano con le loro insistenze per un Proclama di Emancipazione. Ovunque io vada e ogni volta che mi giro sono dietro di me”. Eppure fu grazie alla collaborazione dei due alleati sempre in disaccordo che la storia fece il suo corso. Fu così quando il presidente del comitato per le finanze trovò i milioni di dollari che permisero alla Casa Bianca di continuare la guerra. Fu così quando Lincoln grazie ai poteri di guerra dichiarò liberi tutti gli schiavi degli stati del sud. Fu così quando, nel 1865 giunse alla Camera la proposta di un tredicesimo emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti che in poche righe aboliva per sempre la schiavitù (già approvata dal Senato a forte maggioranza repubblicana). Per l’approvazione occorreva il voto favorevole dei due terzi dell’assemblea. Il 13 maggio Stevens stesso chiuse il dibattito alla Camera. Il rappresentante dell’Illinois Isaac Arnold raccontò: “illustri soldati e cittadini occupavano tutti i posti disponibili, per ascoltare il vecchio eloquente parlare della misura che avrebbe portato a compimento una guerra di quarant’anni contro la schiavitù”. Quel giorno per soli due voti l’emendamento passò e la schiavitù fu abolita negli Stati Uniti d’America.
Lincoln sin dalla sua rielezione dell’anno precedente, giudicando i tempi maturi, aveva spinto per l’approvazione dell’emendamento, arrivando a corrompere i deputati democratici. Lo stesso Stevens commentò: “il più importante provvedimento del diciannovesimo secolo, approvato con la corruzione, aiutata e favorita dall’uomo più puro
d’America”. Contro ogni consuetudine il documento ufficiale contenente il tredicesimo emendamento riporta anche la firma di Abraham Lincoln. Il sud si arrese poco dopo, ponendo fine alla guerra e come è noto il Presidente venne assassinato nei mesi successivi. Quando il treno funebre di Lincoln passò per Lancaster, città di Stevens, il vecchio plebeo non si vide alla stazione. Qualcuno disse per paura, qualcuno per malattia. Qualcun altro lo vide togliersi il cappello vicino al ponte della ferrovia fuori città.

Alla presidenza successe Andrew Johnson, un democratico del sud rimasto fedele al governo federale che Lincoln con intenti unitari aveva nominato vicepresidente nonostante le vibranti proteste di Stevens. Quest’ultimo nel frattempo era divenuto il deputato più influente di un Congresso a larga maggioranza repubblicana e fortemente radicalizzato. La lotta per la piena emancipazione non si era infatti fermata con l’abolizione della schiavitù. Stevens promosse proposte radicali per requisire la terra ai traditori e distribuirla agli schiavi liberati e per creare scuole pubbliche che ne garantissero l’istruzione. Johnson utilizzò il potere di veto presidenziale per tentare di bloccare la maggior parte delle leggi di Stevens, arrivando provocatoriamente a proporlo in pubblico per l’impiccagione. Questi invece dichiarò durante un discorso alla Camera: “Sarò soddisfatto se il mio epitaffio sarà scritto in questo modo: Qui sta uno che non è mai asceso a nessuna eminenza, che ha solo corteggiato la bassa ambizione di poter dire che si sforzava di migliorare la condizione dei poveri, degli umili, degli oppressi di ogni razza, lingua e colore”.

Nel 1868 venne approvato alla camera il quattordicesimo emendamento alla Costituzione, che attribuiva la cittadinanza a tutte le persone di colore, escludendo però il diritto di voto, come invece voleva Stevens. Il quale arrivò ad avviare la procedura di impeachment per il Presidente Johnson, riuscendo ad ottenere il voto favorevole della Camera, ma non giungendo per un solo voto al quorum dei due terzi richiesto al Senato.
Il Vecchio Plebeo neanche ultrasettantenne, zoppo e malato, smise di andare alla Camera, dovendo spesso sedersi protetto da una coperta e dovendo far leggere i propri discorsi ad altri deputati. Fino all’ultimo continuò a presentare proposte di impeachment per Johnson. Il New York Herald lo descrisse come “un volto di un colore simile a un cadavere e labbra strette e contratte … un’apparizione strana e soprannaturale – una rimostranza solitaria dalla tomba … l’incarnazione stessa del fanatismo, senza un alito solitario di giustizia o misericordia … la vendicativa nemesi del suo partito, il nemico giurato e implacabile dell’esecutivo della nazione “.

Si spense il quattro aprile 1868 tra le braccia di Lydia Hamilton Smith, la governante di colore che gli era stata accanto per tutta la vita e che forse era molto di più. Poco prima di morire apprese che la tomba che aveva acquistato si trovava in un cimitero per soli bianchi. Indignato, acquistò un altro lotto, questo in un oscuro cimitero di Lancaster senza restrizioni razziali. Quindi dettò il vero epitaffio da incidere sulla lapide:
Riposo in questo luogo tranquillo e appartato non per una naturale preferenza per la solitudine. Ma, trovando gli altri cimiteri limitati sulla questione dalle Charter Rules, ho scelto questo in cui posso illustrare nella mia morte i Principi che ho sostenuto attraverso una lunga vita:
L’UGUAGLIANZA DELL’UOMO DAVANTI A DIO.

Alle elezioni successive il Partito Repubblicano decise di ricandidarlo simbolicamente alla Camera. Anche da morto vinse il collegio con una valanga di voti. Due anni dopo il Congresso approvò il quindicesimo emendamento che attribuiva il diritto di voto ai neri.
Per uno di quegli strani scherzi che solo la sorte sa giocare, la piena uguaglianza razziale arrivò quasi un secolo dopo, quando in seguito all’omicidio del trentacinquesimo Presidente degli Stati Uniti, subentrò un vicepresidente democratico chiamato Johnson.
Thaddeus Stevens probabilmente era già polvere, ma a noi piace immaginarlo lì, accanto al ponte della ferrovia, insieme a quella schiava nera chiamata Charity Butler.

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